Il prosciugamento del Lago

Il Fucino era un sistema lacustre carsico, il cui unico vero immissario è il fiume Giovenco, che entra nella piana da Nord Est, costeggiando l’abitato di Pescina.

Il lago inoltre raccoglieva acque dal massiccio del Velino-Sirente a Nord e dai Monti Simbruini a Sud. Il regime idrico del bacino era regolato dall’attività degli sfiatatoi carsici, localizzati a meridione, ai piedi delle montagne. Il non avere emissari importanti ha determinato un’alta variabilità del livello del lago.

Nonostante i Romani avessero scelto il Fucino come luogo di villeggiatura per il suo particolare microclima, fu proprio al loro tempo che si iniziò a parlare di bonificare il lago per farne il granaio di Roma.

Il primo che volle tentare il prosciugamento del lago fu Cesare, che però venne ucciso prima che adempisse al suo proposito. Fu quindi Claudio che si adoperò in tal senso.

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Secondo Svetonio vennero utilizzate 30.000 persone tra schiavi e operai, lungo undici anni di incessanti lavori: si lavorava anche di notte, su tre turni di 8 ore, in squadre, sparse lungo il tragitto del canale (da considerare anche i lavori collaterali, preparatori e connessi).

Il risultato fu un canale di 5,6 km che attraversava in parte il Monte Salviano, per poi drenare nel fiume Liri. L’esito però non fu quello voluto, date le numerose frane del monte già durante la costruzione e, soprattutto, nei periodi successivi, per le quali la semplice manutenzione ordinaria non bastava.

Terminati i lavori Claudio volle celebrare l’opera con fasto, e organizzò dunque una naumachia, una battaglia navale sul lago. Al termine, venne aperta la diga, ma l’acqua non scolò a causa di una piccola frana avvenuta poco prima.

Spurgato il canale e riaperte le chiuse, un’ulteriore frana causò una grossa ondata di ritorno che si abbatté sul palco dove la famiglia imperiale banchettava. Di questi accadimenti vennero incolpati i liberti Narciso e Pallante, che non erano architetti, ma prefetti dei lavori.

O Torlonia asciuga il Fucino,
o il Fucino asciuga Torlonia…

Solo nel XIX secolo, il Principe Alessandro Torlonia, decise il grandioso progetto di totale prosciugamento del lago.

Il 26 aprile 1852, con Regio Decreto borbonico, fu accordata la concessione dello spurgo e della restaurazione del canale claudiano a una Società Anonima napoletana nel tentativo di un prosciugamento del Fucino. Il compenso era naturalmente in parte costituito dalle stesse terre bonificate.
Poiché nella Società figurava il banchiere romano Alessandro Torlonia (col suo ingegnere svizzero, e l’agente francese Léon de Rotrou), il re Ferdinando II fu accusato di aver concesso il prosciugamento ad “alcuni stranieri per rimeritare segreti e sinistri servigi alla propria causa”[6]. La Compagnia era invece composta anche dal principe di Camporeale, dal marchese Cicerale, amministratori delegati della Società di cui Torlonia era fondatore assieme ai signori Degas padre e figlio, banchieri di Napoli.

I lavori per il prosciugamento iniziarono nel 1855 sotto la direzione dell’ingegnere svizzero Franz Mayor de Montricher, morto nel 1858 e furono continuati dall’ingegner Enrico Bermont, al quale nel 1869 successe l’ingegner Alessandro Brisse, che li portò a termine nel 1876 anche se la fine ufficiale fu decretata il 1º ottobre 1878.

L’impegno profuso, le risorse economiche e i 4.000 operai al giorno utilizzati per 24 anni, spinsero il nuovo re Vittorio Emanuele a conferire a Torlonia il titolo di principe e una medaglia d’oro, e all’ingegner Alessandro Brisse l’onore di un monumento al cimitero del Verano di Roma.